Il Decreto Legge 223/2006 (decreto Bersani), convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 2006 n. 248, all’art. 5, ha previsto che le parafarmacie possono effettuare attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci non soggetti a prescrizione medica.
Il successivo Decreto Legge 201/2011, convertito con modificazioni nella Legge 214/2011, ha previsto che nelle parafarmacie possono essere venduti anche i farmaci con obbligo di prescrizione medica ma a totale carico del cittadino (c. d. di fascia C) ad esclusione di quei farmaci individuati in una lista aggiornabile emanata dal Ministero della Salute, per i quali continua a non essere consentita la vendita nelle parafarmacie. Secondo il TAR tale limite all’esercizio dell’attività imprenditoriale delle parafarmacie non appare giustificata in relazione ai parametri di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 41 Cost. per i seguenti motivi.
I farmaci somministrabili senza ricetta medica comportano dei rischi per la salute umana inferiori rispetto a quelli dei farmaci per i quali è prescritta la ricetta; ciò non toglie che si tratta pur sempre di farmaci, il cui abuso od uso improprio potrebbe produrre dei seri danni alla salute dell’utente.
Dunque se il legislatore ha ritenuto che i farmacisti delle parafarmacie possono, in piena autonomia, vendere i farmaci che non necessitano di ricetta medica, ritenendo che tali soggetti siano muniti di conoscenze scientifiche e di professionalità adeguate ad esercitare tale incombenza, non si vedono le ragioni per cui gli stessi soggetti non possano vendere i farmaci di fascia C, la cui utilizzabilità da parte di uno specifico paziente dipende non da un’esclusiva valutazione del farmacista (come per i farmaci da banco e per i farmaci per i quali non è richiesta la ricetta medica), ma da un controllo a monte, affidato al medico che ha effettuato la prescrizione.
In sostanza, con l’imposizione della ricetta, il sistema affida il controllo del rischio derivante dall’utilizzo di particolari farmaci al medico, mentre è del tutto indifferente che la vendita sia effettuata presso una farmacia tradizionale ovvero una parafarmacia, perché il concreto dispensatore del prodotto, sia nell’uno come nell’altro caso, è sempre un farmacista abilitato all’esercizio della professione e regolarmente iscritto all’Albo.
Ed allora la discriminazione in danno delle parafarmacie, escluse dalla vendita dei farmaci di fascia C, risulta del tutto irrazionale ed ingiustificabile.
La compressione dell’esercizio dell’attività economica non si giustifica neppure sotto il profilo del controllo della spesa pubblica.
I farmaci di cui si discute (c.d. fascia C) sono infatti a totale carico del cliente, non gravando dunque sulle finanze pubbliche; si è al di fuori del concetto di assistenza farmaceutica, pertanto non si ravvisano elementi che possano giustificare un’esclusiva riservata alle farmacie nella vendita di tali medicinali.
(quellichelafarmacia, art di Andrea Renato Avvocato)
Nessun commento:
Posta un commento