Vogliamo parlarvi ancora di HIV/AIDS e speriamo di poterlo fare in una serie di articoli che nei
prossimi mesi vi proporremo: perché?
HIVO è il personaggio protagonista di una serie di brevi filmati della campagna pubblicitaria
promossa da NPS Italia onlus nel 2014. Hivo in uno degli episodi finisce sul lettino dello
psicoanalista, frustrato e depresso: non fa più paura.
Non sembra fare più paura, non se ne parla, le campagne sociali d’informazione e per la
prevenzione sono sempre meno numerose, tutti sembrano avere informazioni a sufficienza…ma i
contagi restano numerosi, troppi, persino in alcune regioni in aumento. Parliamo nel 2014 di quasi
4.000 nuovi casi solo in Italia. Come mai? Cosa accade?
Occorre promuovere una riflessione che parta dal modo in cui il sociale e la politica si occupano dei
fenomeni che rimandano al “pericolo”, alla “paura” e alla “morte”. Potremmo riattraversare grande
parte della storia dell’umanità e della storia economica, sociale, politica scegliendo come filo
conduttore la storia di malattie fisiche e psichiche, la storia delle grandi pestilenze: la peste e il
vaiolo, la peste bubbonica, la lebbra, il colera, in tempi più recenti la sifilide e la febbre spagnola e poi l'asiatica.
La storia dell’HIV/AIDS è storia recente, anch’essa storia di paura e dunque anche di disagio
emotivo, di stigma e pregiudizio. Come sempre quando l’animo umano è turbato dall’idea della morte.
Tale storia viene di fatto fatta iniziare soltanto nel 1981 quando si cominciano a mettere insieme in
un quadro clinico simile le morti di diversi pazienti. E’ stata un’ecatombe e una pandemia, ha
seminato paura e angoscia e di conseguenza stigma, diffidenza, colpevolizzazione, isolamento sociale.
Dal 1996 una combinazione di farmaci riesce a immobilizzare il virus rendendo cronica la malattia.
Nei paesi sviluppati si muore sempre meno ma sembra non muoversi invece il numero dei contagi.
Restano le gravi problematiche sociali, economiche, organizzative e di qualità della vita dei
sieropositivi. Comprendiamo che in breve tempo i progressi scientifici hanno fatto moltissimo e la
ricerca sembra avanzare giornalmente. Tutto in modo estremamente veloce per i tempi
dell’umanità. Ma lenti, non lo dimentichiamo, per i singoli, per gli amici, i compagni, le compagne,
i mariti, le mogli, i figli persi in una battaglia che ancora deve essere vinta. La storia di una malattia
è anche la storia di chi l’ha combattuta e di chi l’ha resa visibile. Le associazioni hanno avuto un
ruolo fondamentale nell’assunzione di responsabilità politica, scientifica e sociale.
NPS Italia onlus, Network Persone Sieropositive, è un’associazione fondata ufficialmente nel 2004
il cui primo gruppo era costituito per la prima volta proprio da pazienti HIV+ con un’esperienza
maturata all’interno dell’Anlaids. Pazienti che hanno scelto di essere attivi nella promozione di
attività per la prevenzione, la sensibilizzazione, l’informazione ed il supporto psicosociale per le
problematiche legate all’HIV/AIDS. Presente ai tavoli di lavoro con le Pubbliche Istituzioni e le
Aziende farmaceutiche intende non far abbassare la guardia, come è giusto che sia. L’associazione
si è aperta in anni più recenti alla partecipazione di persone non sieropositive nell’ottica di un
lavoro più ampio orientato al benessere.
NPS Sezione Sicilia, di cui è fra i soci fondatori chi vi scrive, opera a Palermo da quasi tre anni. E’
un team che opera in modo autonomo e aperto ad altre realtà che si occupano di malattie croniche,
nell’interesse comune del Diritto alla Salute e della Qualità della Vita. La logica è la partecipazione,
il promuovere la consapevolezza del diritto alla salute, alla cura, alla non discriminazione, del
dovere del rispetto dell’altro, dell’ascolto, della solidarietà.
Qui a Palermo stiamo lavorando per promuovere iniziative per i giovani, per i migranti, per le
donne, per chi ha meno voce o ha dimenticato d’averla. Ma vogliamo lavorare nell’idea che una
cultura positiva e serena dell’attenzione a sé e all’altro sia comune, condivisa e diffusa.
Viviamo in tempi durissimi in cui l’individuo, i gruppi, le comunità non sono più in grado di
pensare in termini di solidarietà e condivisione, ciascuno arroccandosi sull’autocentratura, sulla
paura dell’altro (malato, straniero, diverso da me) E’ un tempo di paure ed incertezze che rischia di
far tornare indietro perché è un tempo che funziona su, e incontra, un sentimento diffuso, nella depressione generale.
Il ruolo delle associazioni è certamente cambiato in questo ultimo decennio, pensiamo a una delle
prime associazioni nate nel 1981. Il “Gay Men’s Health Crisis, fondata dallo scrittore ebreo
americano che si impegna attraverso essa affinché la malattia al suo insorgere non venga trattata
con superficialità dal mondo medico e sociale e politico. Per combattere occorre innanzitutto vedere
il nemico. E’ la storia raccontata dal film “The Normal Heart”, magnifico spaccato sul caos, il
dolore, il panico del moltiplicarsi delle morti nel mondo gay dei primi anni ottanta negli USA per il
Sarcoma di Kaposi, allora nominato e bollato come “Il cancro dei gay”. Era il tempo della
difficoltà di identificare persino il quadro clinico, le modalità di contagio, individuare il pericolo e il
senso e i modi della prevenzione. Ci vorranno moli morti e in una popolazione sempre più ampia e
sempre meno identificabile come “categorie a rischio” (omosessuali, tossicodipendenti, prostitute)
per superare l’immagine e lo stigma di una “malattia della colpa”.
Le associazioni hanno fatto moltissimo per promuovere la ricerca e il sostegno politico, hanno fatto
e fanno moltissimo per diffondere il senso del diritto alla salute. Ma molto ancora occorre fare. E’
sempre più chiaro che nessuno si può sottrarre, neanche oggi con le cure efficaci esistenti il
fenomeno è superato. Si aprono molte questioni: di chi è oggi il problema? Come mai ancora tanta
diffusione? E’ ancora una volta un “problema d’altri”? Prima dei gay, poi delle popolazioni
africane, poi dei migranti in generale?
Una campagna pubblicitaria diffusa da NPS Italia recita: A volte l’altro sei tu.
Questo può non farci paura, ma attivarci. Mi piace concludere questa mia incursione in Postillare.it
proponendo di cambiare paradossalmente punto di vista sulla battaglia che combattiamo: Essa ci
obbliga alla “Resilienza”. La resilienza è quella forza che proviene dalle ferite, dai traumi, essa non
solo ci permette di recuperare le forze necessarie a combattere ed affrontare gli eventi ma promuove
una speranza progettuale. Resilienza viene dal latino “rimbalzare”. E’la capacità del tutto umana di
superare le difficoltà non solo con energia e vitalità, senza soccombere ma con un nuovo investimento e un nuovo slancio.
Maria Laura Sunseri
marialaura.sunseri@fastwebnet.it
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