7 maggio 2014

La poesia


Poesia, dal greco poiesis con il significato di ‘creazione’.
Prediligere questa forma d’arte, oggi sembrerà strano, in un mondo dove imperano il liberismo e l’individualismo che ha ucciso il personalismo che mette al centro la persona nella sua essenza.
Parlare di poesia, scrivere poesia , nel nostro tempo è considerato,  da questo tipo di società, effimero e onirico. La poesia è ritenuta ‘inutile’.
Oggi, a nostro parere, viviamo un secondo medioevo, il più oscurantista dei periodi storici vissuti dall’uomo dove la dignità della ‘persona’ era calpestata  da una visione del mondo che privilegiava l’avere, il possesso annientando l’essere.
Si capisce bene che in questo tipo di società, ‘scavare’ nelle profondità dell’essere per carpire il vero senso della vita risulta non solo inutile ma addirittura limitante per l’uomo di oggi che aspira alla sua realizzazione guardando al possesso e al potere.
Cos’è stata nei secoli la poesia? E cosa dovrebbe essere ancora oggi?
Partendo da un dato condiviso da vari filoni culturali e religiosi ci soffermiamo su un’affermazione che deve stare alla base di un ‘quasi credo’: La parola crea!
Già nella categoria biblica, che è quella a noi più vicina essendo d’aria culturale cristiana, nel racconto della creazione viene proprio usata l’espressione , <<E dio disse>> per esplicitare l’atto creativo di Dio: Deus dixit fiat lux, et lux fuit (Dio disse sia fatta luce, e luce fu). Allo stesso modo la parola di Dio può essere ‘distruttrice’ di tutto ciò che ostacola la realizzazione piena della sua creazione nel tempo.
In questo senso ogni parola può essere creatrice o distruttrice, in egual modo, di bene e di male. La parola si fonde con il vissuto personale, ma anche della realtà che circonda chi la esprime. La poesia, allora, che è espressione di una realtà soggettiva diventa a forza egualmente espressione d’oggettività. Chi parla, chi scrive, parlando di poesia, di poeti, pur nel distacco rispetto ad elementi circostanti non può scindere da miscidazioni e cioè dalla mescolanza del soggetto (il poeta) dall’oggetto e viceversa. Ciò che il poeta scrive nell’intimo del suo eremo viene immancabilmente permeato dalle cose e dai fatti che lo circondano. A loro volta le cose, i fatti che sembrano scevri dal pensiero poetico possono essere più o meno reinterpretati e, oserei dire, ricreati dalla parola scritta. L’uomo cioè può assumere il ruolo di ‘ricreatore’ di realtà che forgiano l’essere. Ecco perché, riteniamo, che la poesia possa, come è già successo, cambiare il mondo. (si pensi solo al rinascimento italiano)
I poeti, ognuno a suo modo, ognuno con le sue specifiche caratteristiche, cambiano la percezione della realtà. Anche se, come dice il poeta Flavio Ermini, la poesia tenta di non contaminarsi con la materia della realtà, cercando di sottrarsene apparendo spesso inattuale, e occultando  la propria contemporaneità, fingendo di esprimersi nel passato e nel futuro, non può esimersi dalla contaminazione del reale. Questa fuga dalla realtà non è un affidarsi all’imperscrutabile, al cielo, ma un rivolgersi all’impossibile, quando l’impossibile delle cose lo si ricava dal possibile come interno rovesciamento. È questo rovesciamento delle cose dall’interno che avviene ogni qualvolta una poesia tocca l’animo di qualcuno.

Chi è quindi il poeta?
Ampliando la prospettiva da cui partire e cercando di capire come i grandi hanno considerato il sapere nella storia conosciuta dell’uomo partiamo da una locuzione socratica che dice: <<Io so di non sapere!>>
Nell’apologia di Socrate, Platone eviscera l’argomento mettendo in risalto proprio la convinzione certissima di un uomo di ‘lettere’ che è giunto ad una conclusione che sembra essere in contrasto con la stessa arte socratica della retorica, e cioè quell’arte che ha come scopo la persuasione dell’interlocutore intesa come approvazione ed accettazione della tesi dell’oratore. Il lettore si chiederà cosa c’entra tutto ciò con la poesia, con il poeta.
Noi crediamo che se è vero che il poeta è, e deve essere, colui che, essendo sensibilmente più portato a compenetrare la realtà delle cose, è portatore di conoscenza e di consapevolezza dell’animo umano, allora è anche vero che debba partire dallo svuotamento di sé. Il poeta deve cercare di liberarsi da ogni incrostazione personale e sociale che lo zavorra a una conoscenza deviata dell’intelletto. Solo chi ‘sa di non sapere’ può continuamente essere aperto alla conoscenza. Solo chi ‘accetta’ di non sapere può addivenire a una sempre maggiore conoscenza della realtà avendo convinzione, però, di non poter mai raggiungere la pienezza della gnosi.
Il grande Rimbaud, che si scagliò violentemente contro quel mondo culturale che pensava di aver raggiunto ogni certezza dello scibile umano, nella sua “Lettera al veggente”  scrive: <<Il primo studio dell’uomo che voglia diventare poeta è la conoscenza di sé, intera; egli cerca la sua anima, l’indaga, la tenta, l’apprende. Dal momento che la conosce, deve coltivarla>>.
Nella stessa lettera tuona contro quei poeti e letterati che ‘dall’alto delle loro cattedre’ credono di distribuire sapienza ribellandosi alla saccente prosopopea di un filone culturale attaccato a certi schemi che imbrigliano l’animo di chi vuole, invece, spogliarsi d’ogni sapere per arrivare a ciò che Rimbud chiama l’eternità.
Il poeta può arrivare ad essere veggente, dice Rimbaud, solo attraverso il totale spogliamento del proprio essere. Nessuna certezza serve per indagare e conoscere il proprio animo. Nessun perbenismo né dogma imposti, nessuna morale precostituita se non quella dettata dalla propria coscienza di uomo libero. Gli farà eco il famoso pittore francese Gustave Cuorbet, riconosciuto quasi unanimemente leader del Realismo, scrivendo: << Ho quasi cinquantenni ed ho sempre vissuto libero; lasciatemi finire libero la mia vita; quando sarò morto voglio che questo si dica di me: Non ha fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: L’unica cosa a cui è appartenuto è stata la libertà>>.
E per noi che scriviamo, che veniamo definiti poeti pur non considerandoci tali, cosìè la poesia?
È tutto ciò che abbiamo letto e scritto, è l’essenza stessa della nostra esistenza, è disperazione e allo stesso tempo gioia, è maledizione e benedizione , è vivere dentro a un mondo che rifiutiamo e assumerlo in ogni sua parte, anche nelle nefandezze, è gridare il silenzio e sopprimere l’urlo, è la ricerca di noi dentro noi stessi e ancora dentro il mondo che ci contiene, è raggiungere il profondo rimanendo in superficie, è la certezza di nessuna certezza.

Francesco Romano  

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